dei consorti! il loro nome, il loro carattere vi è 
garante della loro onestà! 
La sera del sabato non si dorme: e se il diavolo zoppo potesse 
realmente sollevare i tetti delle case, vedrebbe tutte le teste insonni ed 
irrequiete sui guanciali. Riuscirà la lista? E lui riuscirà? Sì, no, sì: non 
si sa, si spera, si teme; quando spunterà l'alba? Infine, viene quest'alba 
benedetta, è spuntata la grande giornata, si andrà finalmente a votare; la 
casa è in rivoluzione, gli usci sbattono, il gatto miagola, i bambini che
non hanno una chiara idea delle elezioni, strillano; non importa. 
S'indossa il costume di circostanza; abito grigio, colletto di tela, 
cravatta nera, cappellino sull'orecchio, borsellino sul fianco per la 
scheda, occhialino per sorvegliare le operazioni elettorali e via--per 
quel giorno vanno all'aria la messa, la passeggiata, l'appuntamento ed il 
resto. Nelle frazioni si odono cheti fruscii e frasi mormorate anzichè 
dette; si respirano profumi finissimi; si veggono mani bianche, dalle 
dita affusolate, sospendersi un momento sull'urna; passano le teste 
bionde e le brune con un'aria dignitosa, composta e sfilano, sfilano, 
guardando il presidente--povero presidente, lo compatisco--, sorridendo 
al segretario, sbirciando le altre elettrici, ma con una serenità, una 
calma invidiabile. Sono oramai persuase di aver esercitato con 
coscienza uno dei più preziosi diritti della donna; sanno di aver 
compiuto una missione, non troppo bene quale, ma è una missione. 
Aspettando l'esito, non si parla che di incidenti elettorali, di 
blocchi--anche di blocchi--, d'imbrogli sventati, di trame fallite--e la tal 
signora che aveva nella manica venti schede, e quelle altre che hanno 
preso d'assalto il seggio, e le impiegate telegrafiste che hanno votato 
compatte! Quando si arriva a sapere il risultato, allora succede la vera 
guerra: da una parte balli, canti, scampagnate, pranzi, brindisi--dall'altra 
svenimenti, convulsioni, emicranie, lagrime e disperazioni; poi 
inimicizie, giuramenti di vendetta, legami infranti, amori traditi ed i 
poveri uomini nei tormenti. Ed il Consiglio? Un Consiglio strano, 
eterogeneo, o troppo giovane o troppo vecchio, un po' cattolico, un po' 
libero pensatore, un poco biondo, un po' bruno...... 
Baie tutte queste: è tempo, o signori, che la donna non sia più 
manomessa, è tempo che ella entri nei pubblici uffici, è tempo che le si 
concedano quei sacrosanti diritti.... 
Dio! come si riderà in novembre alla Camera! 
 
IL TRIONFO DI LULÙ. 
Novella.
I. 
Sofia non alzava gli occhi dal suo lavoro, e le sue dita leggere volavano 
su quella trina delicata. Invece Lulù girava per la camera, spostava gli 
oggettini sulle mensole, apriva un tiretto per guardarvi dentro, distratta; 
era chiaro che essa voleva fare o dire qualche cosa, ma che il contegno 
serio della sorella maggiore la metteva in soggezione. Provò a 
canticchiare un po' di canzone, disse un verso di Dall'Ongaro; Sofia 
parve non aver inteso. Allora Lulù, che non peccava di molta pazienza, 
si decise ad affrontare la questione, e piantandosi davanti alla sorella, le 
chiese: 
--Sofia, sai quello che mi ha detto mademoiselle Jeannette? 
--Nulla di molto interessante, per certo. 
--Ci siamo con una risposta secca e fredda, da far venire i brividi in 
estate! Dove prendete il vostro gelo, o mia agghiacciata sorella? 
--Lulù, sei una vera bambina. 
--Ecco dove v'ingannate, bisavola del mio cuore; io non sono una 
bambina, perchè mi marito. 
--Eh?! 
--È appunto quello che mi ha detto Jeannette. 
--Che imbroglio! Io non capisco niente. 
--Or ora, ti narrerò tutto, come si dice nei drammi. Ci sarà un racconto... 
ma Vostra Serietà mi presta tutta la sua attenzione? 
--Sì, sì, ma sbrigati. 
--Il giorno delle corse al Campo di Marte, ecco il tempo ed il luogo. Tu 
non vi eri, tu che preferisci i tuoi eterni libri... 
--Se divaghi sempre, non ti ascolto più.
--Devi ascoltarmi; questo segreto mi soffoca, mi uccide. 
--Ricominci? 
--Smetto, smetto. Dunque alle corse stavamo in prima fila sulla tribuna: 
viene Paolo Lovati e ci presenta un bel giovane, Roberto Montefranco. 
Soliti saluti e complimenti vaghi, essi trovano dei posti e siedono alle 
nostre spalle; scambiamo qualche parola, sino a che si ode il segnale 
della partenza dei cavalli. Ti ricordi che io proteggeva Gorgona, senza 
prevedere quanto essa mi sarebbe stata ingrata... basta, bisognerà 
rassegnarsi anche all'ingratitudine delle bestie. Una nube di polvere fa 
scomparire i cavalli. «La Gorgona vince!» esclamo io. «No, dice 
sorridendo Montefranco, vince Lord Lavello.» Io m'indispettisco per la 
contraddizione, egli continua a sorridere ed a contraddirmi; facciamo 
una scommessa, una discrezione. Infine dopo mezz'ora di palpiti e di 
ansietà, arrivo a sapere che la Gorgona è una traditrice, che io ho 
perduto e che Montefranco ha guadagnato: figurati! Gli dico che voglio 
pagare subito subito, egli s'inchina e risponde che c'è tempo; lo 
incontro a Chiaja, gli rivolgo un'occhiata che è un'interrogazione; egli 
si contenta di salutare e sorridere in un modo misterioso. Così al teatro, 
così dappertutto; io vivo nella massima curiosità:    
    
		
	
	
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