Abrakadabra | Page 9

Antonio Ghislanzoni
ultimi che adottarono la coda, appendice delle teste rivoluzionarie di un'epoca
liberalissima, furono gli ultimi a tagliarsela. Per averla portata fuori di tempo, il mondo li
chiamò reazionarii, e il codinismo passò in proverbio.
«I primi che mettono fuori il figurino di una idea, son chiamati liberali. La moda viene
accettata, si propaga, si allarga--a lungo andare, tutti debbono svestire l'abito vecchio, per
adottare la nuova foggia. Ma dopo alcuni anni comparisce un altro figurino, un figurino

che alla sua volta si chiama progresso, civiltà, democrazia, socialismo, ciò che meglio vi
piace. Gli iniziatori della moda precedente, i liberali di un'altra epoca, vorrebbero
resistere e persistere. Essi gridano il non possumus del curato, e in rapporto ai nuovi
tempi divengono reazionarii.
«Abrakadabra! ibis! redibis! Ciò che ieri era il bene, oggi rappresenta il male; ciò che pei
nostri predecessori era la meta, per noi diviene il punto di partenza. Sarebbero dunque,
anche il bene ed il male, una illusione del convenzionalismo? Il principio delle
nazionalità, che rappresenta il non plus ultra del liberalismo contemporaneo, come dovrà
apparire meschino e puerile fra un secolo, quando nel pensiero della comunanza di
origine e della fratellanza naturale, l'uomo si dirà cosmopolita; quando le frontiere delle
Alpi, dei fiumi e dei mari, scompariranno, insieme ai pregiudizii di razza; e l'umanità, che
oggi pone il suo vanto nel suddividersi in cento frazioni nemiche, si riunirà tutta per
formare una sola famiglia!
«Bene, male!... per disingannarci di codeste distinzioni che non hanno senso, rimontiamo
alla origine delle cose, a Dio.
«Dio non è una parola--è una idea innata, congenita all'uomo, trasfusa in tutto il creato.
Dio è l'essere, la luce, il moto del pensiero. Dio è la perfezione--tutto che emana da lui è
perfetto.
«Orbene, a che discutere il torto e la ragione, il bene ed il male?--parole! Poichè
l'universo riflette la perfezione di Dio, le leggi che lo governano e gli atomi che lo
compongono debbono considerarsi irriprovevoli. Potete voi concepire la perfezione del
tutto, escludendo la perfezione delle parti?
«L'uomo, nella sua vanità provvidenziale, facendosi centro della creazione, credette che
quest'opera gigantesca e inconcepibile non avesse altro scopo che il di lui individuale
vantaggio. Tale è il nostro peccato di origine, la superbia incarnata, da cui si genera il
dolore, l'impotente desiderio del meglio.
«Tutto per noi! ecco la strana illusione!--Cerca, prova, rimescola, agita, va, torna, edifica,
dissolvi; tutto questo moto, questa operosità incessante dell'uomo non può migliorare di
un solo grado la di lui condizione. L'illuso egoista non vuol persuadersi che il suo moto
intelligente e appassionato è diretto ad uno scopo più universale, cui è interessata tutta la
creazione.
«Se l'umanità potesse raggiungere il meglio a cui tende, allora la sua esistenza diverrebbe
un assurdo, il moto cesserebbe, e il mondo intero sarebbe disorganizzato.
«Il vos non vobis è la legge di tutti gli elementi mondiali.--Forse che il sole percorre ogni
anno il suo giro indeclinabile a benefizio della propria individualità? Il moto è una legge
di sacrifizio per lui come per gli altri pianeti, parimenti subordinati a reciproci rapporti,
ad inevitabili dipendenze. Tutto per il cosmos, nulla per noi; ecco la legge di tutte le
intelligenze organizzate che si agitano nel creato.
«E l'atomo vanitoso che si classifica ragionevole presumerebbe emanciparsi dalla legge

universale! Non deridiamo, non insultiamo! Questa pretesa dell'istinto umano costituisce
appunto il motore della sua efficienza. Illuso, inconsapevole, l'uomo segue il suo corso di
rotazione. Cercando il meglio nell'esclusivo interesse della propria individualità, il suo
moto, la sua azione diviene, come quella delle altre intelligenze mondiali, un perpetuo
sacrifizio al bene dell'universo.
«Misterioso, imponente, pieno di sublime poesia è questo sacrifizio di tutti per il tutto. Il
sole, questa grande intelligenza luminosa, che non può uscire dalle sue rotaie inesorabili,
che non può arrestarsi, che non può svestirsi della sua immensa luce, nè temperare gli
ardori della sua combustione perenne--la terra che si affatica nel rapido movimento di
ogni giorno, roteante fra i nembi e le folgori, sospinta e ribalzata da più potenti pianeti--la
belva che ruggisce per fame, il montone che dev'essere divorato, l'augello che canta per
dolore, l'uomo che ride per impotenza, la pianta che piange e geme negli sforzi della
vegetazione, la materia e l'intelligenza che si accoppiano per dissolversi nella
corruzione--tutto ciò che vediamo o immaginiamo, tutto ciò che si nasconde ai nostri
sensi, ma si rivela al nostro spirito--tutto rappresenta l'individualità che si sacrifica
all'ordine dell'universo.
«Una volta riconosciuta questa legge, una volta stabilita questa fede, che risulta
lucidissima ai sensi, tanto che la mente più pregiudicata non oserebbe rinegarla; è egli più
possibile di prender sul serio queste miserabili questioni di parole e di formole, le quali
non sono che il risultato di un errore vanitoso, per cui l'uomo vorrebbe disconoscere,
adempiendola, la propria missione?
«Non fanno pietà queste gare mal definite tra il
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