La rovina

Angiolo Silvio Novaro
La rovina, by Angiolo Silvio
Novaro

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Title: La rovina
Author: Angiolo Silvio Novaro
Release Date: December 26, 2006 [EBook #20182]
Language: Italian
Character set encoding: ISO-8859-1
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ROVINA ***

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ANGIOLO SILVIO NOVARO

LA ROVINA
RACCONTO

MILANO CASA EDITRICE GALLI
DI G. GALLI & LELIO OMODEI-ZORINI SUCCESSI A
CHIESA--OMODEI--GUINDANI Galleria Vitt. Eman., 17-80
1897
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LA ROVINA
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DELLO STESSO AUTORE:
Manoscritto d'una Vergine, 1887. (Esaurito) Sul Mare, 1889. (Esaurito)
Giovanna Ruta, L. Roux e C., Torino, 1891. L. 2, 50 Il Libro della
Pietà, Casa Editrice Galli, Milano, 1894. L. 3
IN PREPARAZIONE:
L'Apostolo, romanzo.
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PROPRIETÀ LETTERARIA
Milano, Tip. degli Esercenti, Via Vincenzo Monti, 31.
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A LAURA BUTTA ------

Io vidi già una gocciola di rugiada tremare, sospesa a un ramo, pari a
una lagrima di piacere, prima di cadere in grembo all'erba.
Così vedo tremare, sospeso a queste pagine, un iridato pensiero di
amore, prima di cadere in grembo a Te!

IL COMMIATO
--Un racconto che m'è costato sangue,--egli disse.--Ogni parola, una
goccia di sangue.
Io lo guardai, con un moto istintivo di repugnanza; ed ebbi ancora la
stessa penosa impressione di un'ora prima; quando ci eravam messi a
tavola, e Giuseppe era entrato ad accendere il gas. Allora m'avevan
colpito le occhiaie incavate e livide, e quello splendore insolito degli
occhi che contrastava sinistramente col gran pallore del volto consunto
e l'aria stanca e sofferente.
Io non osai parlare.
E il silenzio acuì l'oscuro senso di disagio a cui soggiacevo.
Ma un minuto dopo entrò Giuseppe col caffè, e depose il vassoio
dinanzi a lui.
Poi ch'egli stesso mi porse la tazza, m'accorsi che la mano gli tremava.
Anche notai, con inquietudine, ch'egli chiese il cognac.
--Non ne prendi mai,--gli dissi timidamente.--Cos'è?
--Una sciocchezza,--rispose sorridendo, mentre avvicinava il
bicchierino alle labbra.
Appena Giuseppe fu uscito, gli feci:

--Cos'hai?
Egli rialzò la faccia su cui moriva l'ultima traccia del sorriso; mi fissò
con quegli occhi che brillavano, e rispose:
--Voglio scacciar questo po' di languore.
Poi, avvedendosi forse del turbamento che mi teneva, soggiunse:
--Ti fo paura? Un poco fa mi son visto nello specchio, e mi son fatto
paura a me stesso. Eppure non mi son mai sentito forte così!
Queste parole mi agitarono.
--Lèggimi,--gli dissi,--il tuo racconto, se stasera non esci.
--Te lo leggerai tu domani.
--Perchè domani?--feci io rabbrividendo.
Egli abbozzò un sorriso.
--Allora dimmi il soggetto!--incalzai.
E lui:
--Abbi pazienza! Una notte è forse l'eternità?
Deluso e costernato, io pensavo.
Durante quegli ultimi otto anni che, scomparsa la povera mamma, noi
avevam seguitato, nella solitudine e nel silenzio del nostro èremo, a
coltivar l'Arte che adoravamo, noi eravam vissuti in una quasi perfetta
comunanza di vita intellettuale e morale. Con effusione e con
abbandono ci eravam scambiati tutte le nostre sensazioni, tutte le nostre
idee, tutti i nostri affetti. Avevam guardato l'uno nell'anima dell'altro
come attraverso alle acque d'un limpido lago.--Ma per ciò che
riguardava la nostra attività artistica, la comunanza era stata
assoluta.--Prima di metterci a qualche nuova opera--egli a' suoi romanzi,

io a' miei quadri--ci eravamo aperti, trepidando, il nostro disegno, ed
avevamo insieme combattuti i dubbi, svelte le esitanze, sofferte le ansie
e le angosce, e gustati i piaceri, le gioie, i rapimenti che ne
accompagnavano l'esecuzione. Ci eravam sorretti e consolati e
fortificati a vicenda. Era stata questa una delle più profonde dolcezze
della nostra vita di artisti. E non senza una soave commozione avevam
visto da altri porre in luce e notare come cosa toccante la vicendevole
influenza, che nelle nostre opere si scorgeva, delle nostre dissimili
nature.
Solo da qualche tempo il miracolo era cessato. Mio fratello aveva
bruscamente rotta e sconvolta l'atmosfera in cui respiravamo. S'era fatto
cupo e taciturno; e, quasi insofferente degli antichi legami, s'era sciolto
e allontanato da me.
Più che accorarmi, sulle prime questo fatto m'aveva urtato e sdegnato
come un'offesa immeritata. Ma, appena l'afflitto aveva, con l'acutezza
del suo intuito, trapelato il mio sdegno, s'era in mille modi adoperato
per mostrarmene tutta la irragionevolezza, e dissiparlo. Aveva, per un
momento, sorriso; s'era effuso in dimostrazioni così spontanee, così
candide e delicate di affetto, che io n'era subito rimasto vinto e confuso.
Era di nuovo entrato, dopo lunghe assenze, nel mio studio; s'era
fermato estatico dinanzi a certe
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