La disfatta | Page 2

Alfredo Oriani
dà meno
torto; però confessate, con tutta la vostra indulgenza alla gioventù, che
almeno Lamberto ha peccato nel modo.
--Tutto quello che vorrete, la forma, la finezza delle maniere, che io,
nato contadino, non ho ancora saputo imparare, ma che non avrebbero
mutato nulla al problema. Tiriamo dritto: in una diagnosi si tiene forse
conto della signorilità di un individuo? Volete un'altra opinione?
--Peggiore della prima?--osservò il grasso Prinetti, che non aveva
ancora parlato.
--Siete dunque in vena, dottore?
Egli fece uno sforzo per frenarsi, ma il carattere riottoso lo trascinava.
--Bisogna pure, quando si tratti di passioni, non dimenticare che siamo
composti di materia. Io non nego la spiritualità, come la chiamate voi
altri con una parola inintelligibile, perchè senza di essa l'uomo sarebbe

rimasto un bruto. Sì, l'amore, la gloria, la ricerca eroica del vero, tutto
lo slancio umano, insomma il pensiero è la sola bellezza e la sola virtù
della vita, ma per pensare ci vuole un cervello inaffiato largamente di
sangue. Datemi i ventisei anni di Lamberto, rimescolatemi, a Roma, in
una società dove non si pensa che a godere, e forse hanno più ragione
di noi che abbiamo sempre lavorato,--esclamò con improvvisa
amarezza:--anche se amo la nostra Bice con tutte le forze del cuore, se
penso a lei in ogni momento che potrò sottrarre alla mia professione
oziosa di soldato, Bice non mi basterà. L'amore è come la scienza; ha
bisogno di rinnegarsi spesso nella pratica. Se non foste la gente che
siete, vi direi: ricordatevi e mi darete ragione!
Tutti sorrisero, egli invece brontolò ancora riappoggiando la testa sulla
poltrona.
Nel salotto l'aria era tiepida e leggermente aromatizzata da alcune
pastiglie, che la contessa Ginevra aveva gittato sulle brace del
caminetto, poco prima che entrasse il dottore. Vi fu un silenzio. Il
salotto, di un gusto ricco e severo, in quella penombra diventava quasi
cupo: solo le poltrone, sulle quali sedevano gl'invitati, e che
evidentemente la padrona vi lasciava per una fine amabilità verso i
vecchi amici, avevano un carattere quasi volgare di comodità, giacchè
da molti anni servivano alle stesse persone, e ne conservavano
coll'impronta del corpo i segni delle manìe particolari. Quella del
dottore, stretta e lunga, colle frangie dei bracciuoli sfilacciate, metteva
tratto tratto un gemito a quel suo dimenarsi, che le aveva slogato un
piede; ma egli si sarebbe lamentato, se la contessa Ginevra avesse
voluto rimbottirla e tappezzarla di altra felpa.
Giorgi sedeva sopra uno sgabello da pianoforte, la contessa Ghigi
spariva quasi, entro una larga ottomana, mentre Prinetti allargandosi
sopra una robusta sedia americana, a rete di giunco, perchè qualunque
imbottitura gli avrebbe infiammato le reni, grasso com'era, guardava
ancora il dottore. Nel mezzo, un piccolo tavolo da giuoco, parato di
panno turchino, attendeva la solita partita sotto un magnifico
lampadario in bronzo verde; gli altri mobili erano in palissandro, le
pareti a damasco azzurro con fiori di un azzurro più carico, il caminetto

di marmo nero, il soffitto, dipinto nel secolo scorso, posava sopra un
cornicione a stucchi dorati. Pochi bronzi ornavano i tavoli da muro, e
tre grandi quadri pendevano da grossi cordoni alle pareti, ma nella luce
filtrante dai doppi merletti del lampadario si poteva appena indovinarne
i soggetti; mentre a fianco del camino, su due grandi vasi cinesi
sembravano accendersi improvvisi bagliori come se i mostri, che vi
erano smaltati, si agitassero di quando in quando fra l'aggrovigliamento
mostruoso dei loro rabeschi.
La contessa Ginevra, seduta presso il dottore entro una larga poltrona in
velluto amaranto, aveva abbassato la testa. Il suo volto di badessa
conservava ancora una dolce serenità di comando, sebbene la bellezza
non ne potesse più essere la ragione, ora che le guance le si erano così
ingrossate, e il mento, appena diviso dal collo per un solco molle di
carne, le appesantiva tutta la fisonomia. Ma i suoi occhi neri, larghi ed
intelligenti in una tranquillità di luce autunnale, rendevano anche più
dolce il sorriso della sua bocca impigrita, sul quale appariva tratto tratto
una condiscendenza, quasi stanca, di bontà sopravvissuta a tutte le
passioni. Solo le mani, bianche e vellutate come ai bei giorni,
vibravano ancora delle nervosità improvvise ed irresistibili della donna.
Il resto del suo corpo non aveva più forme femminili; ella
s'abbandonava entro abiti larghi, senza voler resistere alla
deformazione degli anni se non colla testa e colle mani, quello che
ancora la gente poteva vedere in lei, e che forse avrebbe ammirato fino
all'ultima ora. Dinanzi al camino un alto seggiolone di quercia,
ricoperto di una bazzana a dorature, e una poltroncina in raso roseo
parevano una cattedra ed una culla; e dietro di esse, ancora più alto, un
candelabro d'argento reggeva una grossa palla, avvolta in una nuvola di
fiori, dai quali filtrava una luce da altare. La contessa Maria disse:
--Che vada io nella camera,
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