Della storia dItalia, v. 1-2 | Page 2

Cesare Balbo
che sono non solamente sincere, ma da lunghi anni concepite e quasi fattemi passar in sangue, e dall'educazione ricevuta da un padre lungamente, onoratissimamente sperimentato ne' pubblici affari, e da quel poco di sperienza che potei acquistar io stesso dal 1808 al 1821, e dall'aver sofferto per esse poi, e dai non brevi studi fatti d'allora in poi. E mi si conceda aggiugnere, che pochi uomini, anche de' paesi pi�� liberi, hanno al par di me quell'indipendenza di opinioni che �� somma forse di tutte, quella che viene a uno scrittore dall'aver poco a temere, nulla a sperare politicamente per s��. �� vero, che, come ognuno che scriva, io tengo in gran pregio, io desidero con ardore quel consenso de' leggitori, quella simpatia de' compatrioti che si chiama ?popolarit��?, e che �� insieme sanzione di ci�� che s'�� voluto far per la patria, e mezzo a servirla ulteriormente; ed �� vero che quando io n'ebbi alcun cenno (da que' giovani italiani principalmente, nelle cui mani son per passare i destini della patria), mi venner dimenticate tutte quelle pene, che non son poche, dello scrivere in Italia, e dimenticate le risoluzioni di non iscrivere pi��. Ma appunto la popolarit�� mi parve sempre, come i pubblici uffici, mezzo di potenza, mezzo di servire la patria, e non pi��; come scopo ultimo, nulla sono gli uffici, nulla la popolarit��. E quindi chi �� ridotto a servir la patria d'?opere d'inchiostro?, cio�� d'opere di verit��, se abbandoni scientemente questa la quale sola pu�� giovare, per correr dietro alla popolarit��, ei corre dietro a un mezzo senza scopo, a un nulla che porta a nulla. Ei mi fu detto gi��, che alcune opinioni mie non sono popolari in Italia. Tanto meglio dunque l'averle scritte: quando si scrive con vero e vivo convincimento, non si suole scriver ci�� di che tutti sien gi�� persuasi; si scrive appunto per far passare le proprie opinioni dalla minorit�� alla pluralit��. E quest'�� che d�� sovente pi�� calore agli scritti della minorit��: la brama di diventar pluralit�� colle ragioni. Il che poi, sol che si potessero far correr davvero e sufficientemente le ragioni, sarebbe forse pi�� facile in Italia che altrove; perch��, tra tutti i vizi acquistati, ella serba indestruttibili, e prime forse del mondo, le sue facolt��, le sue virt�� intellettuali.
Il desiderio di rimanere indipendente, non solamente da altrui ma per cos�� dir da me stesso, da ci�� che possa essere in me men ragione che sentimento, mi fece fermarmi all'anno 1814. Gi�� lungo tutta l'opera m'era paruto penosissimo quell'ufficio storico del giudicar cos�� brevemente tanti fatti, tanti uomini grandissimi; la brevit�� aggiugne inevitabilmente alla severit��; le parole stringate e tronche prendono naturalmente aspetto di assolute, aspre, superbe. E gi��, appressandomi a' tempi nostri, mi si era raddoppiata tal pena. Ma ei mi sarebbe riuscito intollerabile cos�� giudicare gli uomini viventi, e a me non ignoti, n�� per benefizio n�� per ingiuria. Io mostrai in altro scritto non aver ripugnanza, non timor forse al discorrere delle cose presenti; ma appunto ne discorsi l�� distesamente, e prendendo agio a quelle eccezioni e spiegazioni, che sole fan tollerabile un tal discorso alla coscienza d'uno scrittore. Ei fu detto gi��, doversi ai morti non pi�� che la verit��, ma ai vivi anche riguardi. Ma io non so fino a qual punto sia giusta tal distinzione; parendomi che a morti e vivi si debbano verit�� e riguardi; salvo un solo di pi�� ai vivi, quello di lasciarli finir lor vita prima di giudicarli definitamente e assolutamente. Iddio stesso fa cos��; finch�� dura lo stato di prova, ei lascia a tutti di poter giustificare e ricomprar le opere fatte colle fattibili: non tronchiamo a nessuno il tempo conceduto da Dio.--Del resto, l'aver appunto parlato del tempo presente in un altro studio mio, m'era nuova ragione di non riparlarne qui. Io desidero che il presente studio rimanga introduzione o compimento a quello.
Finalmente, parr�� forse ad alcuni che un semplice sommario avrebbe potuto e dovuto scriversi sciolto da qualunque opinione, e che cos�� scritto avrebbe potuto durar utile pi�� a lungo. Ma prima, ei mi parve sempre materialmente impossibile scrivere una storia, o un compendio, o una stessa tavola cronologica, senza esprimere pi�� o meno le proprie opinioni: chi si vanta di cos�� fare, nol fa all'opera; e per applicar qui un modo di dire napoleonico, le opinioni si scopron fin dietro alle date ed alle virgole. E poi, elle mi paiono forse pi�� necessarie e pi�� utili ad esprimersi in un compendio che in una storia distesa; pi�� necessarie, perch�� quanto meno si scende ai particolari, tanto pi�� diventa indispensabile spiegar i fatti con quelle esposizioni generali, che in somma sono esposizioni di opinioni; pi�� utili, perch�� quanto pi�� si accumulano e si ravvicinano fatti a fatti, tanto pi�� ne risultano a vicenda spiegate e
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