Amore bendato | Page 2

Salvatore Farina
sembrò un bel giovinotto; non stetti a badare che era
troppo lungo, troppo miope, troppo dinoccolato, troppo frivolo, e lo
trovai elegante e disinvolto, un po' indolente, ma garbato. Porgevo
orecchio alla sua conversazione briosa, da cui non usciva un'idea, e mi
pareva che quel mulinello di parole mi parlasse di un mondo che io non
aveva ancor visto da vicino, un mondo in cui le signore vestono di
velluto e di seta, ed i signori portano l'occhialetto. Dico il vero, vivervi
sempre in codesto mondo non mi sarebbe garbato punto, ma entrarvi al
braccio d'un marito lungo, elegante, disinvolto e miope, attraversarlo
tirandomi dietro lo strascico di velluto e cento occhiate curiose per poi
uscirne e correre in una tranquilla casetta a ritrovare il micio, la gabbia
dei canarini, la vesta da camera, il focolare ardente, le ciancie a
quattr'occhi, l'ultimo romanzo pubblicato, la festa di ogni giorno--ah!
questo sì mi seduceva.
Il signor Leonardo era molto gentile con tutti e specialmente meco; non
me ne sarei accorta, se la mia cuginetta non avesse avuto l'ingenuità di
mostrarmi aperto il suo dispetto; era un trofeo di vittoria e non me lo
lasciai strappare di mano.
In appresso fui forse col signor Leonardo più civettuola del necessario,
se è vero, come mio marito mi ha detto poc'anzi, che egli mi aveva
creduta innamorata pazzamente di lui. Anch'io credeva lui pazzamente
innamorato di me, e le collere della Virginia me ne facevano sempre
più persuasa ed orgogliosa. Ebbi torto, non dovevo cedere a sentimenti
così meschini, ma infine l'ho scontato caro il trionfo della mia vanità.
Sono proprio pentita, mi pare che quando mia cugina verrà a vedermi
per gustare la propria vendetta, me le getterò nelle braccia e bagnerò di
lagrime la sua testina color di stoppa.
Venne il giorno sospirato e temuto; compii i ventun anno, e per primo
atto della mia autorità di donna, dichiarai che non volevo rimanere
un'ora di più nel collegio. Ne uscii. Tornai a far rimendature e
dispettuzzi in casa Rinucci. Una settimana dopo, la vita mi pareva così

insopportabile che trovai la forza di comperare il primo codice e
dichiarare a mio zio che la non poteva durare e che io voleva
andarmene a viver sola.
Il mio coraggio giungeva fino alla petulanza e lo fece ammutolire.
Toccò alla zia a parlamentare per convincermi che la mia idea era
assurda, che non può una giovinetta far casa da sè senza esporsi alle
censure, ai sospetti del mondo maligno. Non era la via migliore per
farmi disdire; sostenni che una giovinetta può benissimo, che se la
legge le dà questo diritto deve averci le sue ragioni.
Incominciarono i commenti all'articolo 323. «Lo spirito della legge,
entrò a dire mio zio, è, non è, insegna...;» io feci la sorda e mi attenni
alla lettera.
Fu allora che il signor Leonardo trovò nel suo cervellino balzano la
bella idea che ci ha condotti a questo punto.
--Signorina,--mi disse--se vi piacessi, come mi piacete, ci sarebbe
modo di accomodar tutto senza scandali... Acconsentireste a darmi la
vostra mano?--
Gliele diedi tutte e due ridendo, le pigliò ridendo, ci sposammo ridendo.
Fu una vera fanciullaggine.
Per parte mia ero andata a nozze come si va in campagna, certa di
annoiarmici un pochino, ma felice della libertà che mi aspettava,
curiosa degli orizzonti nuovi che mi si promettevano, anticipando alla
mia vanità di fanciulla tutte le dolcezze della domestica autorità di
padrona di casa. Non pensavo allora che dalla campagna si ritorna e dal
matrimonio no, e se pure ci pensavo qualche volta alla sfuggita, facevo
dentro di me un ragionamento zoppo che andava a finire così: «tocca a
Leonardo farmi felice, ci pensi lui!» Oh! sta a sentire come ci ha
pensato.
Nei primi giorni, durante il viaggio, pareva proprio felice; andare di
città in città, d'albergo in albergo, farsi trascinare in carrozza da un
museo ad una pinacoteca, scendere da un monte per salire sopra un

campanile, visitare i tesori dei santi, la corona di ferro, le mummie di
non so chi--tutto ciò gli pareva delizioso; fu un'orgia pei suoi occhietti
che non vedono più in là d'una spanna. Io lo osservava per le vie,
quando camminava impettito, lungo lungo, colla testa alta, leggermente
curvata indietro per impedire che l'occhialetto gli cadesse dal naso, e
quando si fermava a pigliar le note nel taccuino per potersi ricordare di
ogni cosa e parlarne poi al Circolo; vedevo un sorriso di cuor contento
errargli sul labbro, e pensavo:--È innamorato, beato lui!...--
Allora mi davo la spinta coll'immaginazione e per un quarto d'ora
m'innamoravo anch'io.
Non tardai ad accorgermi che in quella felicità apparente l'amore non
entrava per nulla; la fatuità ne faceva tutte le spese. Leonardo era
incantato di trovarsi in una condizione nuova, di sapersi spinto colla
velocità dei convogli
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